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      Cosí, sbalestrato da una fantasia all'altra, Emilio era giunto innanzi alla porta di casa propria in contrada del Lauro. Schiuso lo sportello, entrò; fece le scale... e dopo aver acceso un lume nell'anticamera del proprio alloggio, passò nella stanza da letto, andò ad un armadio, levò da un cassetto del denaro, se lo cacciò in tasca; ritornato quindi, in anticamera, staccò da un chiodino, che era in un'imposta dell'uscio, una chiave che trascelse fra varie che vi stavano infilate; poi, montato fino al quinto piano, schiuse con quella un usciolo ed entrò in una soffitta dov'ei teneva certe carte, certi libri e certi arnesi, che non si fidava a tenere nella sua camera.
      Entrato, si cavò il soprabito, lo gettò su un lettuccio, e fattosi verso l'abbaíno, ne aprí l'imposta, posò i gomiti sul davanzale e stette un momento a mirare la sottoposta scena.
      - Ecco Milano! - sclamò. Al chiarore di una luna limpida e piena che si levava in quel punto, gli si offerse dinanzi la multiforme e svariata distesa dei tetti, dei campanili e delle cupole, e gli arrivò all'orecchio, nel solenne silenzio della notte, lo strepito ignobile di gente scorrazzante per le vie.
      - Va, divertiti, - continuò egli colla pertinacia ironica di chi ha le lune a rovescio - divertiti, povera città di Belloveso... forse sono gli ultimi strepiti. Fra due giorni chissà come ti hanno già conciata... se quei pazzi non desistono dalle loro idee...
      Si tolse dall'apertura dell'abbaíno, andò ad una cassa, ne tirò fuori alcuni abiti da maschera, si travestí; poi, rifatta la strada, uscí nuovamente di casa, e s'avviò all'osteria della Foppa.


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La scapigliatura e il 6 febbraio
di Cletto Arrighi
pagine 243

   





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