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      La Foppa era - anzi è ancora - una bettolaccia sul corso di Porta Comasina, laddove esso si allarga a formar quel crocicchio, che adesso si chiama il Largo Garibaldi. Chi passando di là, al giorno d'oggi, volgesse lo sguardo in quell'osteria, vedrebbe facilmente seduta al banco presso l'uscio una giovine donna, belloccia anzichenò, l'attuale ostessa... la quale va discretamente orgogliosa del proprio negozio. La Foppa infatti era già fin dal 1848 un'osteria storica, rammentata nelle cronache cittadine come teatro delle sanguinose gesta del 3 gennaio. La notte in cui accadevano i fatti del mio racconto l'ostessa non rallegrava colla sua presenza quell'antro immondo. Invece sedeva al suo posto un uomo di mezza età, che si avrebbe potuto chiamare il fratello carnale del famoso oste dei Promessi Sposi: "occupato in apparenza in certe figure che faceva e disfaceva colle molle... ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui."
      Intorno a lui, seduti a desco, se ne stavano, parte in maschera, parte ne' consueti panni, da trentacinque a quaranta persone, tra maschi e femmine, le quali andavano cercando alla loro maniera un po' di quell'ente astratto di cui siamo tutti cosí sitibondi, e che si chiama la felicità.
      Dicono certuni che la felicità sia una vana parola, e che non la si possa trovare su questa terra. A parer mio costoro dicono una minchioneria, ed hanno per avventura il torto di confondere l'idea della felicità terrena con quella che ci è promessa nell'altra vita, vale a dire una specie di estasi perenne, beata, ineffabile, della quale non c'è che una gran fede che valga a persuaderci che non ce ne dovremo annoiare mortalmente.


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La scapigliatura e il 6 febbraio
di Cletto Arrighi
pagine 243

   





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