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      In questi compiti Machnò trovò un vasto terreno per la sua azione, che gli permise di esser presente a molte vicende pericolose della lotta anarchica.
      Nel 1908 cadde in mano dei giudici tzaristi, che lo condannarono alla impiccagione per aver egli partecipato ad associazioni anarchiche e ad atti terroristici; in seguito la pena gli fu commutata ai lavori forzati a vita, poichè era ancora minorenne. Tutto il periodo di pena Machnò lo passò nella prigione centrale di Mosca (Butyrki). Per quanto grave e disperata fosse quella vita, Machnò ne trasse il maggior profitto possibile, cercando di educarsi e in questa opera mostrò grande perseveranza. Studiò bene la grammatica russa, si occupò di matematica di letteratura russa di storia della cultura e di economia politica. La prigione in realtà fu l'unica scuola in cui Machnò abbia attinto le cognizioni storiche e politiche che poi gli furono di grandissimo aiuto nella attività rivoluzionaria. La vita e le sue vicende furono l'altra scuola che gli insegnò a conoscere gli uomini e gli avvenimenti della società.
      In prigione, ancora troppo giovane, Machnò si rovinò la salute. Ostinato, incapace di accettare quella completa privazione dei diritti dell'individuo, cui è soggetto qualsiasi condannato, aveva sempre a che dire con le autorità del carcere; costretto quindi nelle celle più fredde, si prese la tubercolosi.
      A causa della sua «condotta riprovevole», per nove anni, sino all'ultimo giorno di reclusione, visse con i ferri alle mani e ai piedi sin che fu liberato insieme agli altri prigionieri politici dalla insurrezione del proletariato moscovita, il 2 marzo 1917.


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Storia del movimento machnovista
di Pëtr Andreevic Aršinov
pagine 356

   



Versione con traduzione di Virgilio Galassi




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