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      Il mio fine, che era di studiare non solo gli alberi, ma altrettanto gli uomini, a questo modo era ottenuto.
      La buona gente mi credeva de' loro, non sentiva d'aver bisogno di nascondersi da me, la vedevo nella sua piena verità, colle sue idee, i suoi pensieri, i vizi, i difetti, ecc.; e siccome parlavo benissimo i loro dialetti, non rimaneva fra essi e me il minimo velo.
      Io che non ho mai fatto il democratico - non mi servirebbe a nulla - non anderò in estasi sulle virtú de' contadini e del popolo. Ne ho trovati de' buoni e de' cattivi come in tutte le altre classi. I sette peccati mortali e le sei virtú, fra cardinali e teologali, piú o meno come dappertutto; bensí, essendo io sempre stato del partito de' calpestati, e che quella povera gente, gli uomini piú che la Provvidenza le mettono innanzi un pan duro e che sa di muffa, mi son sempre sentito un po' di tenerezza per loro, e una parzialità che mi porta ad assolvere piú facilmente una loro birberia, che non quella di chi ha un destino migliore.
      Io ebbi talvolta amici fra loro. Amici che m'hanno voluto bene ed ai quali ne volli anch'io, ed ancora mi ricordo di loro con affetto. Nature rozze, fiere, ma che voltate al bene, sono veramente eccellenti.
      Mi ricordo d'un certo Venanzio del castello di Marino - antico feudo de' Colonnesi - giovane della mia età, vero tipo dell'antico sangue romano, quale ce lo mostrano i bassirilievi della colonna Traiana, con que' muscoli squadrati, la guardatura aggrottata, ec. Mi aveva preso a ben volere, ed ero diventato per lui come un fratello. Persino un giorno, non sapendo piú quale offerta farmi, che sempre qualche servigio voleva rendermelo, mi disse: - Vedi, Massimo, se qualcuno ti dà fastidio.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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