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      .. una parola a Venanzio... è fatta! - E non era figura di rettorica: Dio ne guardi gli avessi insegnato chiunque, era fatta davvero.
      Poiché m'è venuto nominato Marino, per trovar un principio, è buono questo quanto ogni altro paese, e comincerò da Marino, dove in due volte passai da dieci a undici mesi.
      Marino, feudo, come dicevo, de' Colonnesi ab antico, è un castello a 14 miglia da Roma, a mezza costa del monte Albano. Il deserto che circonda la città eterna finisce ad un miglio circa dalle sue porte, ove di nuovo comparisce la vegetazione. Vigne, uliveti, campi di cipolle, che sono la grande esportazione del paese e l'onore di Piazza Navona, loro principale mercato. Al lato opposto comincia la celebre macchia della Paiola, selva che, senza interruzione, continua per le montagne di Regno, fino nelle Calabrie: e che è probabilmente sempre rimasta in piedi dai tempi in cui la selva Ercinia era sicura dalla scure, in virtú del tempio di Diana.
      Tempio, per parentesi, ove, a far da sacerdote, era impiego da non invecchiare. La congrua doveva però essere da far gola, poiché il posto non rimaneva vacante, malgrado la forma del concorso pel quale si acquistava. Concorso, cui forse pochi preti oggidí vorrebbero presentarsi.
      Il titolare di Diana Ercinia o Aricina era per legge costretto ad uscire sul piazzale del tempio, da chiunque ne fosse richiesto, e doveva battersi a daga con lui.
      Il superstite o restava o diventava titolare.
      Bisogna dire che fosse un benefizio riservato ai gladiatori in ritiro.
      La macchia della Paiola è ora il campo di rifugio di tutti coloro che non hanno una spiegazione preparata ad uso della giustizia: è il regno inviolato de' briganti; la cornice nella quale s'inquadrano infiniti racconti di rapimenti, omicidi, vendette, sorprese, e talvolta di venture d'amore; senza metter in conto che essa è miniera inesauribile di studi d'alberi d'ogni specie e di ogni età; de' loro cadaveri, de' loro scheletri che giacciono finché sian ridotti polvere; avanzi di piante superbe che nacquero, Dio sa quando, crebbero e caddero alla fine di vecchiaia; senza che l'uomo, nemico di tutto e di tutti, le tribolasse.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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