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      Se non posso informare il lettore delle origini prime del sor Checco per l'ottima ragione che le ignoro, posso però dargli, senza assumerne la responsabilità, le voci che molto riservatamente, e molto raramente qualche persona mi ripeté all'orecchio.
      Il sor Checco non era sempre stato agiato a quel modo; aveva dovuto lavorar di braccia quand'era giovane - stava fra 50 e 55 anni - difatti senza bisogno preciso, ma pure per non lasciare di guadagnarsi qualche soldo, ed anche per un lungo abito d'attività, quando non c'era da far nulla intorno alle viti, all'ulive, al fieno, o che so io, andava alle cave di travertino, vi guadagnava la sua giornata, e a vedere come tirava via col mazzuolo di piombo, a guardargli quelle braccia asciutte, ma tutte nerbo e cotte dal sole, si capiva bene che non sempre aveva fatto lo scarpellino per pura passione a quel dilettevole esercizio.
      Si parlava poi di un certo imbroglio dei tempi de' Francesi - e qui i racconti diventavano scuri come in gola al lupo - d'una certa assenza di pochi giorni a' tempi di repubblica: non mi ricordo ora se quando Championnet andava verso Napoli, o quando Ferdinando veniva verso Roma.
      Tornato da questo viaggio di diporto, pare che, con una transizione discretamente rapida, il volto della dea Fortuna, che fino allora s'era mostrato al sor Checco d'un mal umore diabolico, si mutasse a un tratto nel bocchino ridente d'un'innamorata. S'eran veduti scappar fuori come per incanto, ora un pezzo di vigna, ora un campicello, e poi una casetta, e poi un tinello o una cantina e simili, che venivano aumentando l'asse attivo del sor Checco. V'era memoria d'una certa moglie; ma la storia taceva completamente sui tre punti: nascita, vita e morte.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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