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      - Sul tuo onore?
      - Sul mio onore.
      A questa mia affermazione quel terribile ed anche un po' pazzo, ma pur buono ed onesto don Filippo, diede una sbuffata degna di una locomotiva, e scrollando quella sua criniera raggiante, batté una gran palmata sulla ringhiera che fé' vibrare i vetri.
      - Son contento, perdio! e non ti c'impicciare, sai! Hanno chiesto di me?
      - No.
      - Però lo sanno che sono qui! Eh lo sanno senz'altro!... perché ci sarebbero venuti? Non ti ci impicciare... Sono canaglia, canaglia...
      Eravamo ad uno di que' tali parossismi, durante i quali non v'era piú forza umana che potesse dominarlo, e dopo avere sfilata la corona di tutti i sinonimi del vocabolo canaglia, e dette cose dell'altro mondo, venne fuori col resto anche il segreto che avrebbe voluto tenere per sé: ma in quella confusione si dimenticò che il caso di rivelazione previsto dal codice era passibile della pena capitale. Né piú né meno.
      Mi disse, in sostanza, che stanco, o meglio, infuriato per lo stato presente delle cose pubbliche, s'era lasciato indurre ad entrare nella setta.
      (È necessario premettere che il piano di campagna della sua politica - plagio di Catilina, Lentulo e Cetego - era distruggere tutto, e poco meno che tutti. Riposandosi poi da questa faticosa operazione, si riservava d'inventare un nuovo mondo nel quale tutti si sarebbe messa carrozza).
      Che presto s'era accorto trovarsi azionista d'una compagnia d'assassini e tagliaborse. Uno di costoro, mi citava, che gli bazzicava per casa, si veniva servendo in una ciotola, che non so per qual capriccio teneva sulla tavola da scrivere piena di grossetti (piccola moneta di argento del valore di circa sessanta centesimi). Accortosi di ciò un giorno gli pose in mano la ciotola col rimanente e gli disse: - Prendi: lo fo perché abbi la collezione completa.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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