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      Chi vorrebbe fra noi prendersi l'incomodo di andar in cantina a far politica, mentre si può farne in piazza tanta da farsela venire a noia?
      Ma finché i governi si ordinano a sétte, le sétte vorranno sempre ordinarsi a governi.
      Poiché d'una cosa in un'altra son venuto su questo discorso - si vede proprio che ora non c'è rifugio sicuro contro la politica, nemmeno il sor Checco Tozzi! - non le pare un fatto singolare, un fenomeno psicologico curioso quella disposizione di animo che spinge tanti individui a sottoporsi al giogo delle sétte, ad onta del nessun frutto che hanno portato in tanti anni, e di tante fatiche, noie, pericoli ed umiliazioni?
      Gli uomini hanno poco giudizio, dice lei! Sta bene. Anche questa è la spiegazione; è in altri termini quella che ho data dianzi - la "gran bontà" dell'uman genere.
      Ma - permetta vorrei trovarne una meno comune. Non ci si dice altro da ragazzi - e dovrebbe venirci detto da uomini e da vecchi - hai poco giudizio! - è logora oramai e troppo generale.
      Sarebbe bene scoprire qual è la malattia morale che ammazza questo giudizio, e quanto a me sempre piú mi persuado che è la piú pertinace, la piú incurabile di tutte - la vanità.
      Se il mio lettore è un teologo, mi permetta di dirgli, sotto la sua correzione, che la teologia, secondo me, ha commesso un grande sbaglio mettendo l'orgoglio per principale, e lasciando la vanità soltanto per annesso. Io vorrei invece che a questa fosse data la precedenza. Ho sempre veduto che da un bell'e buono orgoglio, ben condizionato, talvolta qualche cosa di grande, di generoso scaturisce; mentre dalla vanità non nascono che miserie, ragazzate, pettegolezzi e seccature - quando però non nasce di peggio; - che se la vanità molte volte è puerile, e quindi mansueta, molte altre è feroce e senza misericordia.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Checco Tozzi