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      Ora, prima di tutto, prego gli uomini gravi che mi incontreranno in via di Po a non dirmi mai piú che mi diverto, e soprattutto a non farmi sul viso, colle tre dita chiuse, quell'incitoso verso degli o. In secondo luogo, ecco spiegate al lettore le ragioni che m'indussero a trattare delle gioie e de' dolori della vita artistica; e se mi riesce descriverla proprio qual è, spero si persuaderà, che se l'arte diverte e solleva chi ne gode, stanca, consuma, e talvolta ammazza chi la professa.
      Dissi, cominciando, che per i miei viaggi tenevo un cavallo. Ma, fissatomi a Marino, presto m'avvidi che quest'ammirabile compagno dell'uomo alla caccia ed alla guerra non ama punto le belle arti, e vi fa pessima compagnia allo studio del vero.
      Un giorno, ne' gran calori, volli tenerlo meco mentre lavoravo in una valletta cinta di rupi scoscese. Gli tolsi la sella, e colla lunga corda che le cavalcature di campagna hanno sempre attorcigliata e pendente dal cavezzone lo legai nel piú fitto d'un macchione, ove non penetrava raggio di sole. Ma bene vi penetrarono i tafani. Dopo un par d'ore di lavoro, torno per vedere se il cavallo stava a dovere. Addio cavallo! non ce n'è piú notizia. Guardo di qua, guardo di là, di su, di giú, senza scoprire dove fosse finito. Dopo un pezzo, lo vedo arrampicato su per que' greppi e fermo, col muso contro lo scoglio verticale! M'arrampico anch'io fino a lui, e lo trovo ficcato fra pruni, flagellato dai tafani, e su un pendío cosí ripido, che non m'azzardavo a fargli mutare un piede: se Dioneguardi lo metteva in fallo, era cosa da finire a ruzzoloni in fondo alla valle.
      Non sapevo proprio che via trovare di ricondurlo giú coll'ossa intere. Lo lasciai dove stava, che il povero animale capiva il pericolo, e non c'era da temere che si movesse.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Marino Dioneguardi