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      Lui, il birbo, mi vede impicciato, rizza l'orecchie, intuona un inno all'amica lontana, comincia a volermi fuggire verso la stalla; io tiro, lui tira; si mette di corsa, e io di corsa; per non rovesciar la cassetta non mi guardo a' piedi, inciampo, va all'aria cassetta, pennelli, colori, boccetta, e quanto c'era, ed io, lungo per terra, che mi strascinò qualche sei braccia; e poi non ci fu rimedio, fuggí.
      Ecco un'altra tribolazione!
      Invece di mettersi in santa pace a lavorare uno studio che v'interessa, e del quale (non potendosi piú fare come Giosué che fermava il sole) il bello passa presto e l'effetto non dura, bisogna correre dietro al ciuco per rompicolli, e penare Dio sa quanto a riaverlo. E non si discorre di quel che può accadere intanto alla povera roba vostra lasciata in abbandono.
      Alla fine, e quando a Dio piacque, pure lo ripresi e ricondussi sul teatro del suo misfatto. Clementi numi! che legnate gli diedi! Non ne parliamo, che è meglio.
      Lo so che tutti questi casi son scioccherie che non dovrei presentare agli associati del Cronista; ma se ho da descrivere la vita artistica, non posso raccontare avventure "palpitanti": bisogna che narri una filza di seccature insipide, che al piú serviranno a far sorridere un collega che le abbia provate. V'è però sempre un ripiego per chi le avesse a noia: mi lasci col mio ciuco, e passi a un altro collaboratore. Creda a me, troverà presto sotto il velo del semi-anonimo, all'ombra di quelle firme a parafrasi che s'usano ora, come sarebbe un Emigrato del '21 - un Toscano di Val di Nievole, ecc. Troverà, dico, di che rifarsi delle mie seccature.
      Sappia, signor lettore, che in Toscana, ove mi trovo al presente, il Cronista è di moda, e m'è riuscito ottenere promesse di collaborazione da certi ometti che non hanno mancato mai di parola.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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