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      Sicuro: quest'abitudine per un cinque minuti m'aveva intorbidato il raziocinio; m'ero già messo innanzi carta, penna e calamaio, ed un tribunale potrebbe decidere che c'era principio d'esecuzione.
      Ma siccome quando tutto è ammannito per scrivere bisogna pure per andar avanti sapere, per approssimazione almeno, quel che si vuol dire, che cosa si vuol conchiudere, e qual via si vuol tenere, ha pur bisognato che mi decidessi su questi punti; e gira rigira, non ho trovato che buio.
      Per la prima m'era venuta l'idea, verbigrazia, di metter lingua nella gran discussione che stanno facendo parecchie ottime persone sull'impiego che s'avrebbe a fare del cuoio d'un cert'orso, onde tornasse al maggior profitto possibile della comunità. Uno, sento che ne vuol far tutt'un gambale separato dalla scarpa; l'altro, vorrebbe uno stivale a tromba; un altro, vuol una ghetta poco piú su della noce del piede e su all'alto una ginocchiera, perché dice che a mezza gamba gli duole o gli fa il solletico, e non si può sentir toccare; v'è chi di questo benedetto cuoio vorrebbe farne tanti pezzi: ognuno si prenda il suo, e andate in pace; altri invece vorrebbe regalarlo tutto a un solo che se n'intenda, e pensi lui a cavarne un costrutto che contenti tutti.
      Su questo fare ognuno ne dice una, e sento che gridano, e s'infocano e si strapazzano, e tramezzo al buscherío si sente scappare anche qualche parolina che non starebbe troppo bene. A chiuder gli occhi, per bacco, parrebbe che fossero in sullo scorticare; ma invece io che non li voglio chiudere, guardo, e mi vedo davanti il mio bravo orso vivo, sano, che vende salute, e fa i fatti suoi in santa pace, e que' signori che litigano per l'impiego della pelle li vedessi almeno colle mani piene d'archibusi, di spiedi, di spuntoni, con qualche coppia di buoni mastini, meno male!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890