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      Io non sono bacchettone, come tutti sanno, e non mi do per tale. Mi sembra tuttavia che prima di voler distruggere le idee religiose che ottengono cotali effetti, bisognerebbe almeno averne già bell'e pronte dell'altre d'uguale efficacia da mettere al loro posto. Vi sarebbe molto da discorrere su quest'argomento, volendo dar ad ognuno il suo; ma a cercarne le prime cagioni per le quali, anche ammessi questi buoni effetti, v'è pure chi si studia di spegnere i sentimenti che li producono, Dio sa a che conclusioni s'arriverebbe. Ed il dovere d'un collaboratore prudente è di sgombrare le vie al suo periodico e non d'ingombrarle! Dolce Cronista! non sarò io che ti sveglierà addosso un vespaio, o ti farà serrar l'uscio in faccia da nessuno.
      Torno alla mia cappella.
      Tutto l'anno vi si teneva una lampada accesa, e dodici famiglie, ciascuna per un mese, s'erano assunto l'incarico di provveder l'olio, ed aver cura che il lume non si spegnesse.
      Il mese di luglio toccava alla famiglia Tozzi.
      Ogni sera, dopo l'avemmaria, partivamo tutti noi uomini di casa, già s'intende coi nostri schioppi a armacollo, e s'andava col buzzico dell'olio a dar sesto a questa faccenda. Eravamo perciò lontani nell'ora in cui Peppe Rosso e Natale Raparelli co' loro amici e consorti avevano attaccata in piazza la gran baruffa che accennammo terminando il capitolo antecedente, nella quale fra le due parti erano in ballo piú di centocinquanta persone.
      Non sapendo nulla di questo fatto si ritornò a casa tranquillamente, e neppure le donne avendone avuto notizia, per la distanza della casa dal luogo della battaglia, s'andò a cena come il solito a un'ora di notte. Poco dopo capitò non so chi, e ci narrò l'accaduto: che Peppe Rosso trovandosi a far le passatelle all'osteria con parecchi, fra i quali stava Natale Raparelli, era nata una rissa.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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