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      Da tutto questo ne verrebbe però una conseguenza curiosa: che un popolo, cioè, per serbare le virtú che lo salvino dalla decadenza, deve per necessità uccidere ogni tanto un dato numero dei suoi vicini.
      Studi il lettore questa questione; la studierò anch'io. Intanto, andiamo avanti.
      A ventiquattr'anni mio padre subí una di quelle interne rivoluzioni, che mutano e rinnovano l'uomo e che soltanto sono possibili nelle nature rette, forti ed appassionate.
      Ardeva in quell'epoca generalmente, ma piú in Francia, la febbre di distruzione contro il mondo antico, per la quale a molti pareva avesse il creato a ritornare nel Caos; mentre invece ci condusse, fra orrendi mali, è vero, a vedere noi apparire, secondo l'espressione biblica coelum novum et terram novam.
      L'Italia è l'antica terra del dubbio. Poco vi poté la Riforma, non tanto perché la frenasse l'Inquisizione romana, quanto perché poco l'Italia si curava di Roma e meno di Wittemberga. È nella nostra indole di non voler essere piú credenti dei preti, e i preti di Roma mostrarono sempre di creder poco. Per conseguenza, gl'italiani non presero mai le questioni di dogma molto sul serio; ed il "chi sa se è vero!" (dolorosa parola all'umanità!) fin da' tempi di Guido Cavalcanti dominò sempre fra noi. Perciò fu l'Italia spettatrice piuttosto indifferente della lotta fra Wittemberga e Roma, poco curandosi d'ambedue. Ma il dubbio, le derisioni, i sarcasmi di Voltaire erano piú di suo genio; quindi volgeva un sorriso allo scetticismo francese come a conosciuto e vecchio amico. Se ciò accadeva nel resto d'Italia, in Piemonte però era altra cosa.
      A fronte di pochi novatori, l'antica fede popolare stava salda sull'antiche sue basi. Oggi, dopo tante bufere passate su questo sbattuto paese, poco o nulla vediamo mutato al suo carattere tradizionale; figuriamoci qual dovesse essere allora, uscito appena dall'ambiente del medio evo!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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