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      S'aprí il testamento lasciato da mio padre al partire per la guerra, e vi si trovò uno splendido trattamento lasciato alla vedova e da doverlesi continuare anche nel caso di seconde nozze. V'era poi un articolo che diceva: "Nel caso che la mia morte avvenisse mentre sono coll'armi alla mano, prego mia moglie a non vestire il solito lutto, ma a mettersi invece in abito di gala, poiché, dato sfogo all'affetto che mi porta, ella deve tenere a grandissima fortuna per essa e per me ch'io abbia potuto dar la vita pel Re e pel mio paese."
      Cosí passarono circa due mesi senza che a lei giungesse notizia del marito. Finalmente seppe ch'egli era vivo, illeso, e prigione in Francia; e la gioia dell'inaspettata fortuna fu una nuova percossa pel suo organismo già indebolito. Per mezzo del ministro del Re in Isvizzera le venne fatto d'ottenere che il prigioniero venisse rimandato su parola. Già essa ed i suoi speravano poterlo presto abbracciare; ma alla sua liberazione era posta la condizione di non piú servire contro la Repubblica fino a cambio reciproco, e mio padre rispose che mai in eterno avrebbe firmata la promessa di non battersi pel suo paese e contro i suoi nemici. Preferí rimanere in quella triste ed amara prigionia, stentando la vita, lontano dalla moglie e dai figli, che erano e furono sempre il suo solo amore, e sofferse questi tormenti per altri sei mesi piuttosto che mancare a ciò ch'egli giudicava suo dovere.
      Ma ebbe una soddisfazione che non era comune in quel tempo. Dopo l'armistizio di Cherasco (21 aprile 1796) e dopo la trista pace del 15 maggio, gli giunse finalmente il permesso di rimpatriare, e gli uomini stessi che allora governavano la Francia, su' quali pesa ormai il definitivo giudicio della storia, non vollero lasciare senza una parola d'onore la nobile condotta del colonnello d'Azeglio.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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