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      Come si può arricchire con questa specie di sacco dato periodicamente ad ogni casa di signori, almeno un paio di volte per secolo?
      E non si creda mica che loro soli facessero sagrifici. Li faceva il governo, il tesoro pubblico, quindi tutti. Ancora si spendono oggi monete d'otto, da quattro soldi, d'un soldo, le quali allora avevano il corso di venti, di dieci, di cinque soldi (valore che ancora si vede indicato sulla moneta medesima col millesimo 1796), e questa era nientemeno che moneta falsa, conosciuta e tenuta per tale da tutti, ma che tutti accettavano; e perche? Perché il Piemontese è duro a se stesso, sopporta ogni malanno (malo assuetus Ligus, lo dicevano già al tempo dei Romani), non teme la vita travagliata né il pericolo, quando è pel suo paese, la sua Casa di Savoia ed il suo onore. E per questo s'è sempre mantenuto padrone di sé, per questo non s'è mai rassegnato ad essere paese di conquista; e quando lo divenne sotto l'eccessiva potenza di Carlo V, Francesco I e Napoleone, tanto fece, tanto si divincolò e dimenò, che riuscí a liberarsi di chi lo opprimeva, e ridiventare lui padrone in casa sua come prima.
      E qui vien bene di dire che i Piemontesi erano e sono ben lontani dall'aver piú ingegno o piú doti degli altri Italiani, ma soltanto hanno carattere un po' piú fermo, e di qui venne loro la bella sorte di poter farsi iniziatori della totale (speriamolo) emancipazione della Penisola: come pure la ricompensa d'esser venuti in tasca a tutti gl'Italiani! Ma siccome dell'amor patrio non ne facemmo mai una speculazione; siccome la liberazione della patria comune non mai la credemmo una società anonima per azioni, coi suoi interessi e dividendi; siccome siamo pur sempre l'istessa razza e sempre malo assueti come i nostri padri; sopporteremo questo malanno, com'essi ne sopportarono già tanti negli scorsi secoli; e, quando gl'Italiani saranno diventati uomini e nazione forte e compatta, un sagrificio di piú o di meno incontrato per un cosí glorioso ed utile fine non avrà importanza nessuna.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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