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      Queste irreparabili sventure le vedeva mio padre, spettatore impotente della distruzione, e, peggio mille volte, dell'onta di quanto aveva di piú caro e venerato su questa terra. Ad ogni occasione che gli paresse aprirgli una via qualunque a farsi vivo pel suo paese, si spingeva innanzi. S'offrí due volte ostaggio pel Re; e quando Napoleone navigando in Egitto, aveva seco condotta la fortuna dell'armi francesi; quand'esse dovettero cedere a Suvarow ed all'esercito alleato, venne mandato dal conte di Sant'André in Sardegna ad invitare il Re perché tornasse a Torino.
      Finalmente ricondotta la vittoria alle bandiere francesi sulle pianure di Marengo, riunito definitivamente il Piemonte alla Francia, perduta ormai ogni speranza, mio padre prese il solo partito che gli potesse riuscir tollerabile: si tolse dai luoghi che gli ricordavano tante miserie e decise stabilirsi colla famiglia a Firenze. Nel suo scrittoio, dirimpetto al tavolino da lavoro collocò una veduta di Torino a guazzo chiusa in una cornice di legno intagliato, sulla quale, da piede, era scolpito Fuit. Io la vedevo nella mia prima infanzia e compitavo quel motto, né sapevo allora quante glorie, quante sventure, quali lunghe ed accanite lotte, quali angoscie, quali ansie, quali ardenti desiderii ed immortali speranze riassumesse in sé quel Fuit per il nobile cuore che se l'era posto dinanzi agli occhi nella terra d'esilio!...
      Terra d'esilio Firenze per un Torinese? Cosí si deve dire oggi, e si dice bene; si dice la pura verità.
      Ma il giudicare l'uomo d'un'età secondo le idee d'un'altra, è il piú fallace ed ingiusto dei sistemi. Tanto pei meriti quanto per le colpe e gli errori, assai importa invece distinguer fra quelli che dipendono dall'uomo e quegli altri che dipendono dal tempo in cui vive.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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