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      Essi hanno diritto di non essere sagrificati ad inopportune e dannose tenerezze. Hanno diritto d'essere avviati nel modo piú breve e piú certo verso quel benessere morale e materiale che, per dir cosí, è il loro capitale, il loro avere su questa terra, e che tengono direttamente dalla bontà della Provvidenza.
      E non v'è bene possibile se l'uomo non è avvezzo a soffrire come ad ubbidire, quando il dovere o la necessità lo impongono.
      Ora, quali sono i primi, i maggiori dei beni? Essere uomo onesto, ed uomo libero. Pel primo, conviene ubbidire alla legge morale; pel secondo, ubbidire alla legge politica e civile. Può egli farsi ciò senza sagrificio, senza piú o meno soffrire?
      So bene che pur troppo in Italia ora, non tutti accettano in pratica la mia definizione: la libertà stare nell'ubbidienza. C'è invece nell'aria l'idea opposta, che la libertà sta nel disubbidire a tutte le leggi.
      Fino ad un certo punto sono da compatire. Ai lunghi ed odiosi despotismi passati, doveva succedere una violenta reazione. Ma il cadere d'un arbitrio in un altro non risolve il problema, e non si sarà né liberi, né forti, né indipendenti, finché invece dell'arbitrio d'uno o di molti, non regni la legge.
      Le basi di questa virile ubbidienza debbono però essere posate nella prima educazione. I bambini, per legge di natura, debbon formarsi per autorità e non per libero esame. Sfido un padre, e piú una madre a poter rispondere a tutti i perché dei figliuoli altrimenti che colla frase: perché lo dico io!
      Inoltre quest'autorità dev'essere appoggiata nel cervellino del bimbo ad una stima ed un rispetto profondo pe' parenti.
      È quindi una ragazzata quanto un'idea falsa messa in capo ai fanciulli, quel trattamento alla pari, quel darsi di tu, fra padri e figliuoli; quel lasciarli metter bocca a tutto, e di tutto lasciarsi domandar ragione.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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