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      Passati alcuni minuti, durante i quali era potuto tornare nella natura sua solita, mi disse:
      Senti, Mammolino, tua madre sta poco bene. A vedere che ti sei fatto male, si potrebbe rimescolare. Bisogna, figliuol mio, che ti faccia forza. Domattina anderemo a Firenze, e ti si farà quel che occorre; ma per stasera non bisogna che mostri d'aver male. Hai inteso?
      Tutto questo me lo disse con la solita fermezza, ma con grandissimo affetto, ed a me non parve vero d'aver un incarico importante e difficile da condurre a buon fine; e difatti me ne stetti tutta la sera rincantucciato, tenendomi il mio braccino rotto il meglio che potevo, e mia madre mi credette stanco della lunga passeggiata e non s'accorse di nulla.
      L'indomani condotto a Firenze, fu messo in ordine il braccio. Ma per guarir bene dovetti andar poi ai fanghi di Vinadio pochi anni dopo.
      Forse ora dirà qualcuno che mio padre era un barbaro?
      Io mi ricordo di quel fatto come se fosse ora, e mi ricordo che nemmeno per ombra mi venne in capo di trovarlo tale. Ero stato invece cosí felice dell'indicibile tenerezza che gli avevo veduta dipinta in viso, e d'altra parte trovavo cosí ragionevole che non s'avesse a sgomentare mia madre, che presi il difficile comando come una bella occasione di farmi onore.
      E tutto ciò perché non ero guastato, e mi s'era già messo in cuore qualche poco di buon fondamento. Ed ora che son vecchio e che ho veduto il mondo, benedico la severa fermezza di mio padre: e vorrei i bimbi italiani d'ora ne avessero ognuno un simile e ne profittassero piú di me; fra trenta anni l'Italia sarebbe la prima delle nazioni.
      E poi, se ne persuadano, i bimbi sanno ben distinguere piú che non sembra, e nella severità giusta ma affettuosa non vedon mai nulla d'ostile.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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