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      A mia lode debbo dire che, capito subito il tiro ed anche ad un barlume il suo motivo, sentii un'umiliazione amara ed una gran ripugnanza a prestarmi a questa frode. Ma debbo aggiungere a mia vergogna che non ebbi coraggio di dar corpo e vita al mio lodevole sentimento.
      M'avevano molto piegato all'obbedienza, ed i miei giudicî sul fas et nefas non erano ancora abbastanza fondati e chiari da permettermi d'agire per virtú di libero esame.
      Accettai dunque l'autorità, e copiai impudentemente il tema greco, che fu trovato, com'era naturale, una meraviglia. E lo zio Balbo, parlando con mio padre, l'udii affermare che gli pareva impossibile ch'io avessi tanta disposizione per le lingue morte. Si figuri se pareva possibile a me!
      Venne il giorno della distribuzione dei premi, e ricevetti in seduta pubblica, dalle mani del conte Balbo, un bell'in folio, Homeri opera omnia, ben legato, con un complimento sulla mia erudizione. Questo volume ancora è fra i miei libri; e penso lasciarlo ad una biblioteca pubblica come restituzione (è un po' dura a pronunziare la parola, ma ci vuol pazienza) di roba rubata.
      Io certo ebbi torto, ma ebbe piú torto di me quel maître d'études, Dio glielo perdoni, e mi diede un gran cattivo esempio; i cattivi esempi dati dagli adulti ai bambini, sono, a parer mio, un vero delitto.
      Il divino candore dell'infanzia parrebbe veramente indizio che l'anima umana lasci il grembo degli angioli per scendere a vestire la nostra forma. Chi le imprime la prima macchia, chi l'avvilisce colla prima frode, è un gran colpevole.
      Debbo confessarlo; questo fatto, unito a parecchi altri, e piú ancora per avventura la troppo severa compressione esercitata sulla mia intelligenza in materia religiosa specialmente, dettero in quel tempo al mio carattere una cattiva piega.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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