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      Tutte le oppressioni, grandi o piccole, sono la rovina dei caratteri. A poco a poco m'entrò nell'animo la dissimulazione, poi la simulazione che è peggio; e dicevo bugie con discreta disinvoltura. Di questo difetto me ne corressi in appresso ed ora, da una quarantina d'anni in qua, credo d'esser stato uno degli uomini d'Europa che ha dette meno bugie; compresi gli anni nei quali fui ministro e diplomatico: mestieri nei quali è importante piú che negli altri il non dirne, benché si creda precisamente l'opposto dal volgo. Ma se ne persuaderanno finalmente gli uomini, quando avranno capito che la piú irresistibile delle forze è quella che vi procura la fiducia che sapeste ispirare.
      Finita tanto gloriosamente rettorica, la progressione scolastica abituale mi portò a fare la cosí detta filosofia, che cominciai all'età di circa tredici anni, all'Università di Torino.
      La logica l'insegnava Don Baruc, e la fisica Vassalli Eandi, supplente Carena.
      A quell'epoca la mia mente cominciava a mobiliarsi ed aprirsi discretamente bene. Mentre il prete insegnava a noi fratelli il latino (sola cosa che sapesse), nostro padre s'occupava di noi onde variare la nostra istruzione nei molti rami della coltura. Si facevano con lui letture seguitate d'opere letterarie, di poeti, di romanzieri. Dante, il Tasso, il Pulci, l'Ariosto, ecc. ecc., furono passati in rivista. Ben inteso che non ci venivano concessi per intero; ma le parti leggibili anche ai giovani bastavano a darci idea e gusto di stile ed a servir di tema ai commenti che ci faceva nostro padre, uomo di ferrea memoria e d'immense letture.
      Io preferivo Dante ed Ariosto a tutti, e ancora oggi li preferisco.
      Cosí mi si venne formando il gusto e soprattutto l'abitudine all'occupazione ed alla lettura, che m'è sempre rimasta.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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