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      Continuamente lo vedevamo in moto, sí in città che in villa; ora compariva, ora spariva; sempre solo (ottima regola per non aver spie) con un legnetto a un cavallo (ora sono spariti affatto ed allora eran chiamati Padovanelli) correva dove valesse l'opera sua, senza una paura al mondo, poiché si trattava della sua fede, alla quale avrebbe sacrificato sé, noi ed ogni cosa.
      Divenne in quell'occasione intimo amico del cardinal De Gregorio, prigione a Fenestrelle; poté riuscire a vederlo, ed accostarsi ad altri cardinali e preti; i quali tutti soffrivano per dovere di coscienza e tutti erano quindi degne e rispettabili persone.
      A pensare che cos'erano stati questi preti pochi anni addietro, e che cos'erano ora! a pensare a quell'ignobile mistura di corruzione, di astuzie, che componeva il vecchio impasto della Curia romana, e vederne ora uscire tante nobili e forti e belle nature d'uomini che osavano dir no a Napoleone, tenuto allora immutabile ed eterno come il Fato! Che lasciavano i loro bei palazzi nel tepido ambiente romano, ed entravano tranquilli nelle casematte d'un forte sul quale nevicava di giugno! Sapevano essi se, e quando n'uscirebbero? Chi di loro poteva sognare allora Rostopchine e la Beresina?
      Tanta è la potenza del sagrificio per rinnovare e nobilitare l'anima umana!
      Ma un'altra riflessione si presenta immediata.
      Altrettanto è immutabile quell'arcano decreto che dice: tutto quanto v'è di buono, di grande, di bello al mondo, è figlio del dolore.
      Ma non ci mettiamo per questa via, ché Dio sa dove finisce!... e poi ho mezzo paura di diventare un po' troppo Geremia colle mie continue riflessioni.
      Del resto, siccome le pagine che seccano si possono sempre saltare, se il lettore si lascia seccare dalle mie la mentazioni, peggio per lui.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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