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      Come l'Italia, si ridestava l'Europa alla gran scoperta, che Napoleone poteva esser vinto! I popoli si chiamavano come i soldati in un campo che si risveglia: si tendevan la mano, s'univano per iscagliarsi, tenendosi ben stretti tutti insieme, addosso al gran leone ferito.
      Il tredici passava nell'ansie di continue alternative. Incominciavano intanto a comparire quei corteggi d'impiegati, civili e militari, ultimo sfascio d'un potere che cade, gente snidata dal nemico che se la caccia a torme davanti. Comparivano truppe lacere, smunti i visi, funesti, e umiliati gli sguardi (deposta l'usata minaccia); venivano ambulanze, carri, carrette di feriti. Si preparavano nuovi ospedali. Non bastavano i letti. Supplivano strati di paglia prima su una fila, poi su due, poi alla rinfusa, poi non ce ne stava piú: rimanevano quali sotto un portone, quali sotto uno sporto qualunque, alla neve, alla pioggia e morivano di disagio; tanti eran morti per la via, dopo quali agonie di Dio sa che dolori! Scossi su ruvidi carri, oppressi sotto mucchi di compagni, io li vedevo allo scaricare questi carri! Quanti poveretti adolescenti, ragazzi, si può dire, presi, sollevati da chi scaricava, trovati morti, lasciati ricadere; poi tirati ruvidamente pe' piedi, e buttati là da un canto pel beccamorto. Quanti padri senza conforto in vecchiaia, quante madri senza sostegno, quante vedove derelitte, quante famiglie desolate o spente, rappresentava una sola di queste carrettate! e per che? e per chi?...
      Io credo che da quelle prime impressioni m'è poi rimasto fisso, inchiodato e ribadito nell'animo quell'odio profondo ch'io porto ai conquistatori, agli ambiziosi, a tutta quella mala genia, la quale, pazienza, se fosse riuscita solo talvolta a bersi il sangue di cento, di dugento mila uomini per levarsi un capriccio; pazienza, ripeto, se finisse qui; ma è riuscita perfino a farsi celebrare, ammirare, sto per dire, adorare, da tutti i balordi ai quali ha vuotate le vene!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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