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      CAPITOLO IX
     
      Ma finalmente venne pure quel giorno benedetto della gran nuova, che Napoleone non era piú nostro padrone, e che eravamo o stavamo per tornar liberi ed indipendenti!
      Chi non ha veduto Torino in quel giorno, non sa che cosa sia l'allegrezza d'un popolo portata al delirio.
      Non lo dico senza rammarico, perché nessuno sente piú di me profonda la gratitudine che dobbiamo alla casa di Napoleone; nessuno piú di me conosce il valore d'ogni stilla di quel generoso sangue francese che venne bevuto dalla terra italiana e ne operò la redenzione; ma bisogna lasciarlo dire perché cosí è la verità; vedere andarsene i Francesi fu allora un'immensa, un'ineffabile felicità.
      Ma aggiungo immediatamente, che tra l'armata francese d'allora e quella d'adesso, ci corre come dal giorno alla notte. Non parlo del merito e del valore come esercito. Su questo non c'era, come non c'è da discutere; parlo dello spirito, delle abitudini, del sentire, della coscienza, per dir cosí, dei due eserciti. E sotto questo aspetto, la bilancia trabocca indubitatamente in favore dell'esercito attuale.
      Si dice che i Francesi sanno far conquiste ma non serbarle: ed è vero. Si dice altresí che i Tedeschi duran fatica a prender l'altrui, ma una volta agguantato, non gli esce piú dall'ugne; ed è altresí vero, in regola generale. Eppure, per bontà di carattere, quale dei due popoli val meglio? Cento volte i Francesi senza dubbio. Come dunque si spiega il fenomeno?
      Si spiega che i Francesi vi fanno portare il peso della loro vanità e ve la caricano in ispalla come la croce al Cireneo; i Tedeschi si prendono invece in ispalla loro la vostra croce senza difficoltà, pur d'essere padroni in casa vostra! E l'uomo in genere è cosí fatto, che un padrone il quale vi peli con aria modesta, umile, e quasi di chiedervi perdono dell'ardire, alla fine si tollera piú d'un padrone che anche vi peli meno, ma vi faccia sempre sentire colle parole, cogli atti, coi gesti, cogli sguardi, che lui è lui e voi non siete un corno.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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