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      Non v'era da debellare che il mio povero don Andreis; e la vittoria fu piena, assoluta, completa.
      Ecco giunto il momento di prender congedo da quel buon prete, che ebbe il solo torto d'essere di corto ingegno, ma del resto fu una bell'anima e fece per me in coscienza tutto quanto credette mi potesse giovare. Io gli professo riconoscenza, e serbo di lui memoria piena d'affetto e stima sincera. Tanto piú, quando penso che allora le sue seccature m'impedivano di apprezzare le buone qualità del suo carattere e che ero quindi ingiusto con lui. È incredibile il male che fanno senza volerlo i seccatori!
      Qui bisogna risolversi ad una gran confessione e raccontare un fatto che, se non fu proprio il nostro ultimo addio, può quasi figurar per tale, e certo precedette di poco la nostra separazione.
      Le vacanze scolastiche si solevano passare in una villa sulla collina dietro Moncalieri presso un paese chiamato Revigliasco. Cosí si studiava appena tanto da non dimenticare l'imparato; e del resto si menava esclusivamente vita fisica di correre, saltare, andare a caccia, ecc. Io avevo scoperta in soffitta una vecchia carabina che doveva aver fatta la guerra della succession di Polonia; e coll'aiuto di smeriglio, di legno dolce, d'olio e piú di tutto d'olio di gomiti, me l'ero ridotta in stato da poter sparare; e di nascosto sul primo, poi trovando tolleranza, mezzo in palese, me n'andavo col prete e coi miei fratelli a caccia, senza che papà però lo sapesse. Quella benedetta carabina non so che difetto interno avesse; ma so bene il difetto esterno quale era, di darmi una terribile scopola ogni volta che la sparavo. Ciò mi tradí: perché ebbi presto sulla guancia destra, precisamente sull'arco zigomatico, un livido ostinato che finalmente chiamò l'attenzione di mio padre.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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