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      Questa scoperta non ebbe per me cattive conseguenze e finí in una semplice paternale. Anzi, mosso a pietà della mia guancia, egli, il giorno della mia nascita, mi regalò uno schioppetto abbastanza buono e pulito, il quale, se non altro, lasciò in pace il mio arco zigomatico.
      In una di queste benedette cacce, trovandomi solo col povero don Andreis, non mi ricordo per qual motivo, certo per un'inezia, cominciai ad attaccar lite con lui riscaldandomi a poco a poco. Si viene alzando la voce, poi a gridare, poi ad alterarsi, poi, non so in verità chi fosse il primo, probabilmente fui io, sotto a pugni tutti e due, a calci, a adoprar insomma tutte le armi naturali, per fortuna, e non le inventate: e siccome io ero assai alto, forte, esercitato e svelto come un gatto; e di piú ogni mia picchiata rappresentava il rompimento d'una pazienza durata cinque anni, non domandi che picchiate da orbo! Proprio avevo perduto il lume degli occhi! Il povero prete m'uscí di mano pesto, stracciato e sanguinoso, con mezzo labbro scomparso nel battibuglio, e, com'è naturale, fece la sua relazione.
      Io m'aspettavo d'essere subbissato. La sera stessa, l'arciprete di Revigliasco, certo don Rinaldi, molto domestico di casa, mi trasse in disparte e mi disse che mio padre era terribilmente in collera, che non mi faceva degno della sua presenza; e che, come parroco del luogo, doveva avvertirmi essere io incorso nella scomunica, perché qui percutiet clericum, suadente diabolo ecc. ecc. Io l'ascoltavo a testa bassa tutto modesto, ed aspettavo qualche altra conclusione; non vedendola venire alzai la testa, e, umile umile, domandai che cosa mi portava questa mia scomunica, per sapermi regolare. "Lei," disse l'arciprete, "è un membro segregato dalla chiesa militante e non può piú partecipare a nessun atto del culto, finché al vescovo non piacerà proscioglierlo dalle censure.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Andreis Revigliasco Rinaldi