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      Paragonerei la frode all'acquavite: pare che sul momento dia forza, ma poi vi lascia piú spossato di prima.
      Col mio ingresso nella guardia urbana, che ottenni facilmente, e che fu il primo passo che mossi nella carriera militare, venne posto fine alla mia educazione; che piú tardi ricominciai poi da capo da me, quando mi tornò o mi venne in capo un po' di giudizio. Mio padre non vedeva con dispiacere la smania armigera che spiegavo in quei momenti; e per non lasciarmi però colla briglia proprio sul collo mentre ancora non giungevo ai sedici anni, aveva la pazienza di fare anch'esso il servizio, e montar guardie, far pattuglie, esercizi in piazza d'armi ecc., con noi.
      Il re Vittorio Emanuele I era intanto partito da Cagliari e stava per arrivare. Truppe nazionali indigene non ce n'era; toccava dunque alla Guardia urbana a fare il servizio del suo ingresso in Torino. Si stava quindi sempre in faccende, ufficiali e soldati, per imparare almeno a mettersi in battaglia e rompere in colonna, senza far tutt'un'insalata.
      Il 20 di maggio finalmente arrivò questo re tanto annunziato e benedetto. Io mi trovavo in rango in Piazza Castello, ed ho presente benissimo il gruppo del re col suo stato maggiore. Vestiti all'uso antico colla cipria, il codino e certi cappelli alla Federico II, tutt'insieme erano figure abbastanza buffe; che però a me, come a tutti, parvero bellissime ed in piena regola; ed i soliti cris mille fois répétés accolsero questo buon principe in modo da togliergli ogni dubbio sull'affetto e le simpatie dei suoi fedelissimi Torinesi.
      La sera, s'intende, grand'illuminazione; e davvero fu spontanea quanto magnifica. La Corte vi andò, cioè il re, la regina, le figlie, se non erro, senza seguito affatto, proprio in famiglia.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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