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      ... Cosí era l'Europa, cosí era Roma.
      I Romani non avevano ancora assaggiato il Papa neto come il Rey neto degli Spagnuoli. Ognun sa come il Governo temporale di prima, per quanto cattivo, era però temperato da patti, capitoli, dritti provinciali e comunali, da usi, tradizioni: quindi infinitamente meno peggio di quello che stabilí il cardinale Consalvi e seguito, facendo la scimmia a Napoleone. Questi lasciava all'Europa in regalo, per sua memoria, le macchine e gl'istrumenti piú ingegnosi che abbia mai saputo trovare il despotismo, da quando cominciò ad infierire sulla specie umana: Polizia e Burocrazia.
      I Romani, come neppur l'Europa, non potevano prevedere allora che i duci e signori, rappresentanti dei ricomposti governi, avessero ad essere tanto balordi da non capire quanto diversi fossero gli uomini del quattordici da quelli dell'89: da non persuadersi che a quella parte di bene, a cui il grande ingegno di Napoleone e le vicende dei tempi li avevano avvezzati, essi non vorrebbero rinunziare certissimamente.
      I Principi, come i ministri reduci dagli esigli, trovarono comodo di accettare l'eredità di Napoleone con benefizio d'inventario: tenersi la polizia, la burocrazia; piú, le imposte, gli eserciti fuor di proporzione, e via via; ma il buon ordine giudiciario ed amministrativo, l'impulso alle scienze ed al merito, l'uguaglianza delle classi, il miglioramento e l'aumento delle comunicazioni, la libertà di coscienza e tant'altre ottime parti del governo del gran guerriero se le gettarono dietro le spalle.
      In Italia, in ispecie, lo stato politico, il despotismo nuovo, poté definirsi: Napoleone vestito da gesuita.
      La lancia d'Achille in mano di Tersite.
      Due paesi si distinsero in quest'avveduta e previdente politica: Roma e Torino.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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