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      Il conte di Lebzeltern comparve tosto per l'Austria. Un certo abate Sambucy, se la memoria mi serve, rappresentava l'interim della Francia; altri, su que' principî, non rammento. Il cardinal Consalvi era al congresso di Vienna. I cardinali Pacca, Somaglia, De Gregorio, vivevano in istrette relazioni con mio padre; come pure i monsignori Morozzo mio prozio, Riario, Frosini, Ugolini, tutti dipoi cardinali, e molti altri. Vedevamo frequentemente i Massimo, i Patrizi, i Torlonia, i Piccolomini; ed io nel mio particolare che sin d'allora cercavo legarmi con gente simpatica ed alla buona, non occupandomi molto del resto di soddisfar l'amor proprio con alte relazioni, m'addimesticai colla famiglia Orengo, d'origine piemontese, ma stabilita da cent'anni in Roma, ove esercitava di padre in figlio l'uffizio di spedizioniere di Sardegna.
      Da questa famiglia, allora e sempre in appresso, venni colmato d'ogni sorta d'affettuose cortesie, e mi sarà sempre cara ogni occasione di far palese la viva gratitudine che gliene serbo.
      Nelle arti e nelle lettere erano allora a Roma alti e belli ingegni: conobbi Canova, Thorwaldsen, Rauch, Camuccini, Landi, Chauvin; la Marianna Dionigi, la figlia Orfei, il poeta Ferretti, autore di molti libretti di Rossini, l'abate Coppi, Gherardo De Rossi, autore di commedie.
      Tutta questa società era animata, piena di vita e di movimento. Alla generazione di quell'epoca, Napoleone avea fouetté le sang; e non rassomigliava punto a quel tipo lumaca che ha fiorito poi per tanti anni tra noi, all'ombra dei cappelloni dei gesuiti, e dei troni e tronini e tronucci dei principotti austro-borbonico-italiani; che Dio conceda pace all'anima loro.
      Ed io, in quest'ambiente gaio, bevevo avidamente, come dice non so che poeta, l'aura d'una vita nuova tutta immaginosa, e mi pareva finalmente di sentirmi esistere.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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