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      Durante il mio soggiorno in Roma nel 14 mi si sviluppò quell'inclinazione decisa per la pittura che m'è poi costantemente durata sino al giorno d'oggi. Se non le anticaglie e gli avanzi della grandezza romana, mi colpí almeno la maggiore e piú durevol grandezza della "Vasta insalubre region che Stato si va nomando." tutto verissimo, ma regione però che sarà sempre l'amore, la poesia, la disperazione degli artisti; come certe donne che vi nascono. Non si sa perché, ma viste e praticate una volta, la loro presenza v'incanta, la loro assenza vi strugge.
      Quella solita lezione di disegno, appendice obbligata di tutte le educazioni, con la sua solita fricassea d'orecchie, di nasi, di bocche, ecc., m'aveva infastidito come una triste pedanteria. È vero che schiccheravo cavalli, paladini e mille cose, imbrattandone i miei quaderni e libri di scuola; ma Dio ne scampi dal prendere quest'abitudine per un pronostico di futura capacità artistica! I parenti se la leghino al dito, se non vogliono esporsi a seccanti delusioni.
      A Roma invece mi sentii veramente accendere quella vampa interna che è l'annunzio ed il motore delle lotte perseveranti dell'anima con se stessa e colle difficoltà della scienza o dell'arte. Mio padre, al quale me ne confidai, mi porse ogni aiuto col suo consueto ed intelligente amore.
      Il mio primo maestro fu un calabrese chiamato don Ciccio De Capo. Ma questo don Ciccio, col suo nome da bambino, aveva ottanta anni, ed era di quella scuola vecchia che Woogd, Verstappen, Bassi, Therlink avevano fatta dimenticare durante gli ultimi anni dell'impero.
      Gli antichi dipingevano di maniera: i nuovi stavano scrupolosamente attaccati al vero.
      Chi conosce Roma, ricorderà parecchi grandi paesi che ornavano il Caffè del Veneziano in piazza di Sciarra; composizioni a larghe masse e di molto effetto.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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