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      Quei paesi erano del buon vecchio mio maestro che ricordo con simpatia per la sua rara modestia; egli mi diceva spesse volte quand'io lodavo il suo dipinto: - Ora, le paesiste nuove, chissi so' bravi; ma io, poro vecchio, chiú d'accosí no saccio fare. - Sotto la sua scorta cominciai a sporcar tela a olio, e prendere un po' di pratica di tavolozza e di colori, empiendomi di frittelle, come accade le prime volte, e mettendomene fino nella collottola.
      Oltre la pittura ripresi con maggior piacere la musica, che anch'essa avevo studiata per sistema d'educazione sotto il maestro Tagliabò di Torino. Egli non aveva però mai potuto ottenere da me, che gli nominassi le sette note senza sbagliarne parecchie. A Roma invece, anche per questo bel ramo delle arti mi principiai a sentir trasporto, e mi diedi ad occuparmene con ardore.
      Sempre dipoi, e sempre piú ho avuta passione per la musica. Mio padre la conosceva a fondo; leggeva facilmente, e siccome allora non usavano riduzioni per le due chiavi e per piano, accompagnava sulla partitura, cosa molto piú difficile, e per la quale convien conoscere tutte le chiavi. La sua voce era di basso, piena ed espressiva, non agile ma fatta apposta per la musica antica che molto amava.
      Il gesuita era però piú innanzi di tutti gli altri di casa. Conosceva il contrappunto ed era compositore. Scrisse pezzi di musica sacra; e poteva dirsi eccellente suonatore di piano, per quei tempi ben inteso, che ora v'è stato progresso immenso in questa come in cento altre cose.
      Egli inventò altresí un nuovo istrumento che nominò violicembalo. In esso, per mezzo della solita tastiera, si muove un meccanismo pel quale il suono nasce dalla vibrazione delle corde ottenuta collo strofinare delle setole come sul violino.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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