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      S'entrò in un oratorio tutto fragrante delle biancherie di bucato, e dei fiori che ornavano l'altare, pieno d'argenti, di santi, di candele accese, colle mortelle in terra e le finestre socchiuse, le tende tirate; essendo un fatto certo se non spiegato, che l'uomo è piú devoto allo scuro che al chiaro, la notte che il giorno, ad occhi chiusi che ad occhi spalancati.
      Il generale d'allora, un vecchio padre Panizzoni, ci ricevette. Era piccolo, curvo, cogli occhi foderati di scarlatto, mezzo cieco e credo anche un po' rimbambito. Piangeva di consolazione, e tutti ce ne stavamo modesti e compunti come voleva la circostanza, quando al buon momento in cui il postulante doveva farsi avanti, ecco il padre Panizzoni a braccia aperte che dirige a me le sue tenerezze, scambiandomi per mio fratello! Errore che per un momento rallegrò la gravità dell'adunanza.
      Se accettavo l'abbraccio del padre Panizzoni, volevamo fare un bel negozio lui ed io!
      E non fu questo il solo invito che ebbi allora d'entrare nella carriera sacerdotale. Monsignor Morozzo mio prozio e padrino, allora segretario dei vescovi e regolari, mi domandò un giorno se volevo entrare in Accademia Ecclesiastica e andar avanti per la prelatura sotto il suo patronato. Io mi misi a ridere, tanto mi parve buffa l'idea, e non se ne parlò piú.
      Se avessi detto di sí, potrei, a ragion di tempo, essere cardinale da un pezzo ed anche Papa. E se lo fossi, vorrei farmi venir dietro il mondo come un pecorino col sale. Ebbi torto di dire di no!
      È vero che col mio carattere di parlare come penso, sempre, a tutti ed in tutto, stavo fresco! O l'avrei mutato, o sarei andato al piú in un paio d'anni.
      Si partí finalmente da Roma nel cuor dell'inverno, in un legno aperto e viaggiando piú la notte che il giorno, come era l'uso di mio padre.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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