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      Morí, poverino, nel 30 o 31, se non erro, pregando sempre per la mia conversione: io, alla mia volta, prego Dio di cuore che dia pace a quell'anima sincera e veramente desiderosa del bene. Che tale egli era in realtà.
      In vita mia ebbi cinque o sei occasioni nelle quali ho provata una gioia, un'allegrezza talmente completa, talmente.... se ardissi, direi fitta, che non avrei parole onde esprimerla, come non avevo cuore, sto per dire, bastante a contenerla.
      Una di queste occasioni, di queste giornate, che avrò cura di notare a misura si presenteranno, fu quella nella quale arrivai al Bastion Verde, allora nostro quartiere, in uniforme, col famoso elmo in capo, montato su un ottimo cavallo, vispo almeno quanto il padrone, buon diavolo anche lui e senza cattiveria, che sapevo maneggiare benissimo. In quei tempi, fra la gioventú, i salti mortali, gli esercizi d'ogni specie, scherma, nuoto, equitazione, ecc., ero svelto assai ed a cavallo un vero diavolo.
      Siccome io, il primo fra gli ufficiali, mi trovai, come dissi, fornito di tutto, compresa la bardatura, venni accolto con lodi e carezze dai superiori e dai compagni. Sonò la tromba, e via per Porta Palazzo verso il mio nuovo destino, contento come un Papa, ed anche qualche cosa forse piú di lui.
      Era una curiosa maniera la nostra di formare un reggimento! I superiori, uomini d'altri tempi, aveano scordato tutto; noi giovani non s'era ancora imparato nulla. Don Andreis non m'aveva date lezioni di teoria, ed i nostri inferiori, i forieri ed i bassi ufficiali e soldati, usciti quasi tutti dalla prima scuola del mondo ed avendo il mestiere sulla punta delle dita, ridevano di noi sotto i baffi in nostra presenza, e alla scoperta in nostra assenza.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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