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      Per forza d'antitesi e per quella tendenza agli estremi, difetto dell'età, mi misi a poco a poco nelle peggio compagnie, e m'affratellai colla canaglia. Non mi bastava che uno non fosse nobile, volevo che fosse un mascalzone.
      L'ho detto, che questa è l'epoca della mia vita che vorrei scordare e della quale arrossisco! E dire che in appresso, ed ogni giorno piú, mi sono invece sentito sempre un'invincibile ripugnanza per il brutto, il laido, il sudicio sia morale, sia materiale! Ed ora debbo perfino accusarmi spesso d'intolleranza; che alla fine gli uomini non sono angeli, tutti abbiam bisogno di qualche perdono, ed io piú di tutti. Ma allora, non mi spiego il come, mi trovavo invece tra la schiuma de' birbi e ci stavo come il pesce nell'acqua.
      Ciò deve servir d'esempio, onde le madri ed i padri non disperino dei loro figliuoli che vedessero nella medesima mia via; ed a chi ci stesse in mezzo, a persuadersi che ogni mala abitudine si può vincere; basta volere.
      Del resto ai miei doveri militari non mancavo ed anzi li adempievo con zelo, né mai m'accadde esser messo agli arresti per motivi di servizio. Ma ero spesso punito per scappate, pazzie, tapages nocturnes, baruffe, birichinate d'ogni razza.
      Una volta ebbi una quistione con un camerata, s'andò sul terreno, ma io avevo sedici anni non compiti, egli poco piú: onde i padrini, ufficiali vecchi, appena messici in guardia, entrarono in mezzo. Forse volevan vedere se questi coscritti ci stavano. Io che non patisco di stizza, né allora l'avevo quasi mai, quella volta mi venne, e tornato a casa e andati ognuno pei fatti suoi, corsi dietro al mio compagno e gli dissi: - Andiamo soli, cosí non sarem disturbati.
      Per fortuna, era venuto quel giorno il generale conte Richelmi a passar l'ispezione al reggimento.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Richelmi