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      E battevo veramente una trista via; che non ho detto di quella mia vita d'allora, né tutto né il peggio ch'io potrei dire. Questo lo avverto perché, dopo tante proteste di sincerità, se son padrone di non dir tutto, non sono però padrone di far credere d'averlo detto quando non sia vero.
      Mia madre, poverina, andava spesso sola, coperta d'un velo, a picchiare all'uscio dell'amico professor Bidone per sfogarsi sul conto mio, cercar conforti e consigli, e talvolta restituirgli qualche piccola somma ch'egli mi veniva imprestando in qualche mia necessità.
      Ma, in fatto di debiti, posso rendermi questa testimonianza: li ebbi sempre in avversione. Meno male vendere antenati; ma debiti, no.
      Per un giovane, questa ripugnanza è un vero tesoro, ed io l'avevo per natura e senza mio merito. Saper campare del proprio, poco o molto che sia, è la prima guarentigia d'una vita onorata e tranquilla. Quando invece si comincia a vivere dell'altrui, addio tranquillità, e pur troppo non di rado, addio onore. Ci pensino i giovani; ed i signori si ricordino che se don Giovanni tornasse al mondo, non potrebbe piú metter fuori dell'uscio monsieur Dimanche, burlandosi di lui. Del creditore in oggi non ride piú nessuno, e si ride invece del debitore rovinato.
      L'ottimo Bidone cercava di tranquillare mia madre, le diceva bene di me, le dava buone speranze, sí ch'ella usciva di casa sua piú confortata. Egli poi, m'aveva messo intorno un vero assedio, non a furia di prediche e d'insistenze, ma col talento e la pratica del mondo ch'egli aveva, ordinato in modo di battermi per tutti lati e con tutti i modi piú efficaci, senza disgustarmi.
      Io, parte gli sfuggivo - monitoribus asper - parte mi sentivo, mio malgrado, dominato dalla sua bella e serena intelligenza, da quell'onestà cordiale che gli traspariva dagli occhi e che rendeva impossibile ogni dubbio sulla sincerità delle sue opinioni e delle sue premure.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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