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      L'antico mito d'Ercole al bivio, immagine poetica d'un fatto che ogn'uomo, piú o meno, ha dovuto provare in se stesso; si riproduceva in me, in tutta la sua forza. Ora, tirato dalla mia compagnia birba, scomparivo; e per qualche tempo il povero Bidone m'aspettava indarno. Poi, tirato da un fascino che combattevo inutilmente, ripicchiavo, quasi a mio malgrado, all'uscio dell'amico. Entravo in quel quartierino pulito ed altrettanto semplice e severo; esatto poi ed ordinato per l'appunto come una pagina di calcolo. Non ho mai veduta una casa, piú fedel ritratto di quello che l'abitava. Egli sempre mi riceveva placido, benevolo, senza smanie di nessun genere, come fa chi conosce, e sa per quali vie si giunga a poter legare le volontà.
      Quest'alternativa fra le attrazioni di due centri opposti durò un pezzetto. Ricordo ora con vera e tenera gratitudine le premure di quell'ottimo amico per far di me qualche cosa. Egli, studioso per propria tendenza ed inoltre occupato dai doveri della cattedra, trovava il tempo di cercarmi, d'appostarmi, d'incontrarmi, di accompagnarmi in lunghe passeggiate, per aver modo di parlar lungamente e di mettermi in capo buone e rette idee sotto cento forme diverse. Non basterebbe un volume a raccoglierle; tutte concorrevano però in quest'idea semplice: avere l'uomo un valore per quanto è onesto ed istruito; per quanto è utile a sé ed agli altri; essere quindi da seguirsi tutto quanto conduce a questo fine, come da evitarsi ciò che conduce all'opposto; dovere ognuno ordinare la sua vita in modo da mantenere in tutta la loro potenza le facoltà intellettuali e la volontà di far bene; quindi, dei beni materiali essere il primo la salute, senza la quale non v'è grand'uomo possibile; questa, non comprarsi mai troppo cara: ottenersi colla temperanza in tutto, ecc. ecc.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Ercole Bidone