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      S'apre la giostra tenuta dai maggiori paladini, che dapprima vincono e fanno piazza pulita; ma si presenta un cavaliero (cavallo nero, armi nere, tutto nero, s'intende); costui comincia a minestrare, nessuno gli può star contro; e cosí sempre giungendo nuovi guerrieri in favor della damina, la giostra si tira tanto in lungo che batte una tal ora fatale, dopo la quale, addio nozze, addio sposa, non era piú permesso pensarci. Scoccata l'ora, quel tal cavaliero nero che prima si moveva, agiva, parlava, si pianta a un tratto immobile come un piolo, lui e 'l cavallo. Sul primo non ci si bada, poi continuando immobile, si comincia ad osservarlo, poi a meravigliarsi, a parlargli. a chiamarlo, e finalmente uno gli dà d'urto; si vede allora scomporsi ad un tratto l'intera armatura, cade l'elmo di qua, la corazza e i bracciali di là, insomma le armi erano vuote! Uno spirito le aveva animate onde impedire gli sponsali, ecc. ecc. ecc.
      Che gliene pare, non era bellina l'invenzione?
      E non basta un poema, feci in quei tempi anche una commedia, una mezza tragedia, e poi odi e sonetti frementi per l'Italia.
      La tragedia era Didone. Atto primo: Enea chiama a consiglio i capi de' Teucri; dice loro che Anchise gli è comparso, e gli ha fatta una scena perché sta a far all'amore, invece d'andar in Italia a compiere i fati, sottraendosi alla vendetta di Giunone, ecc. ecc., dunque bisogna partire; ma i Getuli....ma Iarba.... ma la povera Didone compromessa...: malgrado tutto questo, si decide di partire, e si partirà senz'altro. Naturalmente a non voler fare una tragedia d'un atto, bisogna che per altri quattro sia un continuo fare a tira tira fra Enea e Didone, finché accade quello che già tutti prevedono: Enea se ne va, e Didone s'ammazza.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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