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      ? Di questi simili ce ne sarebbero le centinaia. Ma tutto è confuso, indefinito, illogico, tutto è lotta e contraddizione in questo gran regno dell'amore, e perfino la lingua se ne risente.
      Quale inconcepibile povertà d'espressioni, quale indecisione! In francese, in quella lingua che mi sembra pure il piú perfetto istrumento inventato dagli uomini per comunicare fra loro; in quella lingua, che è la piú precisa, la meglio profilata, la piú logica di quante ne esistono (io ne parlo poche, purtroppo, ma credo vero il mio asserto); ebbene, in francese per esprimere l'amore non v'è che un vocabolo: j'aime Dieu, j'aime ma patrie, j'aime ma mère, j'aime ma maîtresse, j'aime la science, j'aime le vaudeville, o j'aime les épinards au jus, e sempre j'aime!
      In Italia c'è poco di meglio, come in inglese; ma almeno posso mettere gli spinaci in una gerarchia diversa da quella della patria e della famiglia, e dire "mi piacciono gli spinaci," come "I like spinage" ed "amo la patria," come "I love my country!"
      Questa povertà, quest'indefinito della lingua sarà esso pure effetto del caso? O sarà invece un difetto che dominò necessariamente il nascere, il formarsi, l'educarsi della lingua? Sarà quindi un'inconseguenza, un errore di logica, ovvero l'applicazione invece del suo senso piú squisito?
      Se l'ultima ipotesi fosse la vera, la lingua non avrebbe che il vocabolo amore ed il verbo amare, perché l'amore sarebbe uno solo e le applicazioni sarebbero molte, ma sin ora mal comprese e mal definite. Quindi incertezza ed oscurità.
      V'è bensí un amore compreso, definito chiarissimamente, e conosciuto da tutti; per il quale la lingua ha trovato, se non il verbo, il sostantivo adattato, anzi n'ha trovati due - l'amor proprio, l'egoismo.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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