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      L'autore talvolta (è facile accorgersene) vorrebbe presentare qualche cosa d'angelico, qualche fior d'innocenza, qualche essere spirante purezza e candore. Ma, Dio benedetto, che fatica! che sforzo incessante, quale mancanza di naturalezza, di semplicità vera, di modi piani, agevoli, scaturiti spontanei dalla narrazione e dai fatti. Si capisce cosí bene che l'autore volendosi alzare sopra il proprio livello, è costretto a camminare sui trampoli.
      Ma venga invece la scena delle mantenute a cena, la scena degl'intingoli, de' vini, delle argenterie, de' lumi, delle toelette scollate; che abbondanza, che verità, che brio d'immagini, di descrizioni, che ispirazione nello stile, che fiume d'eloquenza! Si capisce che all'autore viene l'acqua alla bocca; che egli si trova nel suo elemento, e non vede l'ora d'aver riscosso il prezzo del suo manoscritto per mettersi a tavola, o forse sotto, anche lui!
      Codesta letteratura è una delle cagioni dell'abbassamento notevole che ognuno conosce nel termometro morale della società leggente d'Europa. Dalla giovane dell'alto mondo, che legge di contrabbando, sino alla figlia della portinaia, che ruba al sonno per darle ai romanzi le poche ore di riposo concessele dalla modista per la quale lavora, quanti disordini, quanti inganni, quanti pervertimenti senza riparo! E tutto ciò perché? Andiamo all'ultima analisi. Perché il signor tale, scrittore, voleva avere sei cavalli in stalla, col resto; e perché sapeva che il pubblico, il re d'oggi, a somiglianza di molti re d'ieri, paga bene chi adula i suoi istinti ignobili, e paga meglio chi in essi lo serve.
      Ora finalmente dopo tanto discorrere ci vuole una conclusione, e la conclusione sarebbe questa:
      Nel mondo si fa all'amore molto meno di quello che generalmente si crede.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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