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      Benevello s'occupava poi di questi suoi inquilini, come in genere de' giovani che si mettevano nella lunga e dolorosa via crucis dell'arte. Egli fu de' primi in Torino che vedesse una differenza fra un artista ed un artigiano, e che aprisse la sua porta ai rozzi seguaci delle muse. Rozzi certo, ma perché? Perché nessuno s'era mai degnato ammetterli in quell'ambiente dove l'uomo si dirozza, imparando dagli altri ed allargando i limiti del suo orizzonte.
      Il conte Benevello fu in quel tempo iniziatore di molto bene pel suo paese. La nostra società d'allora, tutta in riga ed in squadra, ed aliena, come già dissi, dalle novità, si burlava di lui, perché, infatti aveva talvolta in arte, in architettura, in letteratura, idee che davano lauta occasione di metterle in burla. Ma solo chi non fa niente è certo di non errare, di non far dire, e non far pur ridere talvolta; e questo era appunto il caso dei piú fra coloro che si divertivano alle spalle di quel mio ottimo amico: del resto egli fu buon cittadino, buon capo di casa, massaio ed insieme generoso, qualità difficili a combinarsi; fu cortese, ospitale, non passò un'ora della sua vita in quell'ozio che per eufemismo si dice fare il signore. Contemporaneamente (e questo era anzi un difetto della sua natura) egli lavorava, verbigrazia, ad un quadro d'altare, nella camera vicina aveva in azione un'esperienza di chimica, su un tavolino in un angolo era lo scartafaccio d'una novella, d'una commedia, d'un progetto d'una chiesa, piú in là una macchina cominciata per esperimentare un propulsore di sua invenzione, ecc. ecc. Lei mi domanderà: di tutte queste prove, esperienze, invenzioni che cos'è rimasto?
      Le rispondo subito. Per l'arte, come per la scienza, poco o nulla.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Torino Benevello