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      Piú in là Lafleur o Alban, un servitore qualunque di Viú in livrea di casa, bigia, non fatta al suo dosso, calzoni corti, calze non illibate, che cena su un angolo d'un trespolo. È di guardia in sala, quindi non cena in cucina. Poi visibili ad occhio nudo in un angolo, le granate, la cassetta della spazzatura, un treppiede con catino e secchia di rame; su un'altra tavola (tutti scompagni) candelieri con moccoli di sego, lucernine per la gente di servizio ecc., insomma tutto il materiale di confidenza della macchina domestica esposto agli occhi del pubblico.
      Dalla sala (delle due anticamere si tace per brevità) saltiamo ove sta e riceve la vecchia marchesa Irene d' Crsentin padrona di casa. È cagionevole, e la troviamo in camera da letto. Essa ha passati i settanta. Viso pallido che par di cera, lineamenti delicati, signorili, espressione dolce, mediocremente intelligente. Porta una cuffia anfibia tra il vecchio e il nuovo, un abito scuro: ha davanti un tavolinetto antico lavorato di tarsia; fa la calza, calze grosse per i poveri, al lume d'una lampada coperta da un cappello che ravvolge nell'ombra tutta la camera, meno un tondo in alto che mostra la volta a stucchi messi a oro ed un altro tondo di luce che illumina il tavolino ed un breve spazio del legno lustro del pavimento.
      In quelle tenebre visibili, dell'intonazione d'un quadro di Rembrandt, si vede e non si vede un mondo di forme indecise: un letto à la duchesse, cortine e pareti in seta a fiorami. A capo al letto una madonna d'autore; sotto, una popolazione di santini e santine, di cuor di Gesú, d'agnus Dei. - Lei s'aspetta che nomini santa Filomena? Ma essa stava ancora in mente de' RR. PP., perciò non ci poteva essere.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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