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      C'eravamo scordati d'avere in anticamera il somaro; ma ce lo ricordò lui verso l'alba con un raglio di tanto rimbombo, fra l'aria cheta e l'essere in camere vuote, da sembrare il vero giorno del giudizio.
      L'indomani si tese alla meglio un po' di carta quegli avanzi di telai delle finestre tanto di non dormire coll'umido della notte addosso; e poi si cercò modo di dare ordine all'importante articolo cucina.
      La nostra sala d'ingresso aveva un largo camino colla cappa sporgente all'antica, perciò rimase destinata a quest'uso. Si fece una gita a Nepi e si tornò cogli attrezzi necessari: due o tre pentole, tegami, mestolini, e qualche provvista, ed il secondo giorno eravamo già accomodati tutti e tre, noi due in casa e l'asino in istalla (ridotta chiudibile), con tutti gli agi piú sibaritici che si possono ragionevolmente desiderare.
      Però la chére parve sempre magra, persino a me, ch'è tutto dire. Una volta per uno, ognun di noi dovette andar sempre ogni due giorni a Nepi per provviste, col fido ciuco. Questa gita bastava per avere pane, un po' di brodo, ed annessi. D'erbe, di legumi, frutta, salumi, latte, burro, ecc., non c'era da discorrerne.
      Per variare ogni tanto, si comprava un capretto vivo da que' pecorai; ma bisognava cominciare dall'ammazzarlo, poi gonfiargli la pelle, scorticarlo, vuotarlo e via via; tanto che l'essere in tavola colla testicciola fritta, o collo spezzato col brodetto, era l'undecima o la duodecima operazione, tutte pochissimo divertenti; soprattutto quella di vedersi supplicante quel musino bianco, col nasino color di rosa e quegli occhiolini stupidi ed innocenti, e dovergli dare una mazzolata sul capo, e tagliargli la carotide. Malesuada fames!
      Altra varietà della nostra dispensa erano le rane.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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