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      Temendo, se la risoluzione d'uscire prevalesse, trovarsi impicciati per mettersi presto a cavallo, lasciarono il Consiglio a mezzo, e scese le scale, si fecero aiutare a salire in sella onde trovarsi già belli e pronti se si doveva partire.
      Invece il buon re Vittorio, leale e onesto ma corto, tenne altra via. Spargere sangue gli ripugnava, ed altrettanto cedere. Prese un terzo partito: abdicò.
      Quei bravi vecchioni dovettero smontare da cavallo come v'erano saliti; e mio padre prese congedo dal Re, che aveva servito anticamente quand'era duca d'Aosta, e che lasciò ora con tristi presentimenti per la Casa di Savoia e pel paese. Per fortuna l'avvenire non doveva verificarli. Mi fu narrato poi, che tornato a casa, entrò nell'anticamera, e scintasi la spada, la gettò a terra con isdegno, e ritiratosi nelle sue camere vi si serrò.
      Mia madre era in letto ammalata da molti mesi. Ecco le sue parole circa questi casi, quali le trovo nel manoscritto:
      ... Torno indietro per dire due parole sul fatale anno del 1821. Epoca dolorosissima per tutti i fedeli sudditi del Re, tra' quali era dei primi don Cesare, per dovere sacro di religione, ed altrettanto per l'affetto e dedizione ch'egli ben di cuore giurò alla Casa di Savoia.... Cesare passò quei tre primi giorni d'agonia al suo posto come grande di Corte, in anticamera del Re, in compagnia d'altri signori di settanta, ottanta e piú anni d'età, che aspettavano gli ordini del Re, per seguirlo, e per cadergli a' piedi se occorreva. L'abdicazione e partenza del Re troncò ogni dubbiezza. Non è da tacere che Cesare prima di portarsi al suo dovere, abbracciò la sua amata compagna, inchiodata per ben sei mesi in un letto, e con tenera fermezza le disse:


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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