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      Ancora non ero giunto a formarmi quel criterio che è il solo vero, il solo col quale sia possibile il retto giudicio delle cose di quaggiú; col quale soltanto si stimano al loro valore vero i sistemi filosofici, o politici, o religiosi; le vicende della storia, i fatti delle nazioni, de' governi, de' partiti e delle sette; le produzioni dell'ingegno nelle lettere, nelle arti, e gli atti tutti, in una parola, dell'individuo come dell'umanità.
      Questo criterio, il piú facile ed il piú semplice del mondo, ed altrettanto il meno usato, è unicamente il bene degli uomini. Su ogni cosa, in ogni questione, misurate con questo braccio, e domandatevi: ciò fu un bene o un male per gli uomini? Secondo la risposta accettate o respingete, e non potete sbagliare. Suppongo però che si sia d'accordo sull'idea del bene e sulle sue classificazioni: e che si dica bene per gli uomini l'essere prima di tutto onesti, poi sani, poi sensati ed intelligenti, poi liberi, poi istruiti, poi agiati, poi forti, destri, belli ecc. ecc.
      Se si pesasse il mondo a questa bilancia, quanta moneta che corre, che tutti accettano, che tutti pregiano, si troverebbe calante, e si butterebbe tra gli scarti! Quanti popoli, quanti sovrani, quanti governi, quanti eroi, quanti nomi suonanti, che da tutti vennero ammirati sin ora, cadrebbero dal loro splendore nella trista categoria de' pubblici malanni!
      La vera e sostanziale differenza fra la civiltà e la barbarie consiste, non nel possedere o non possedere la scienza con tutte le sue conseguenze; bensí nell'adoperare o non adoperare il detto criterio quando s'ha a giudicare e pesare gli uomini e le opere loro. Per chi riflette, questo è il vero criterio per riconoscere il progresso d'un popolo, o di una età.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890