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      Io so che di queste terre erano padroni i contadini stessi, ma che mio padre o mio nonno, profittando d'una epoca d'anarchia, le occuparono colla forza, ovvero le ebbero per via di frode. Quindi questa gente di padrona è fatta serva, di felice infelice. Essi vengono da me, e con piú o meno garbo reclamano contro la violazione de' loro diritti.
      Se io sono un uomo d'onore, che cosa fo? Riconosco che hanno mille ragioni, li rimetto in possesso, li risarcisco de' danni; essi se ne vanno contenti, ed io rimango in concetto d'uom dabbene piú di prima.
      E se invece i Polacchi dicono: - Ci avete svaligiati, assassinati, rendeteci il nostro! - Se dicono i Veneti: - Ci avete contrattati e comprati da Napoleone a Campoformio: eravam forse roba vostra? Rendeteci dunque a noi stessi! - Dio ne guardi! Vien fuori l'onore! È una question di onore! Gli uomini di Stato a Pietroburgo e a Vienna si sdegnano che si possa crederli capaci di disonorarsi a tal punto. E la coscienza pubblica, meno poche eccezioni, in fondo trova che su per giú non hanno poi tutti i torti.
      Ora la coscienza pubblica, che è sinonimo della opinion pubblica, è sicura d'avere la dernière victoire. Se in altri tempi quando avea la bocca sigillata, poteva accusare de' suoi mali l'autorità; ora che l'ha aperta, e che di serva è diventata padrona, se l'autorità rende infelici i piú, si dolga invece di sé e della propria sciocchezza.
      Dunque, noi opinion pubblica, noi moltitudine, noi amministrati, noi interessati, proviamo un po' a non piú ammirare l'autorità che ci rende infelici, e ad ammirare invece quella che ci rende felici! Proviamo un po' a metter questa nuova moda! Proviamo un po' colla nostra voce, ora cosí potente, a dire all'autorità che l'onore sta nel non macchiarsi con assassinî e ladrerie, o se si è macchiati a lavarsene, e non sta nel volerle sostenere.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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