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      Il figlio d'un locandiere, giovine di venti anni, di forme e forze d'atleta, stupido e mal educato, è il suo padrone e fa in modo che ognuno lo sappia. Le signorine, di varie paternità. L'una è figlia d'un cavalcante ed essa stessa non lo ignora. I figliuoli in mano d'un prete, vero vituperio, che tien mano e partecipa alle loro sudice orgie, in certe camere remote del palazzo. Poi un vecchio maestro di musica straniero, che si dà tono d'uomo necessario, ed è trattato con riguardi dalla principessa; se ne ignora il motivo, ma si suppone sia possessore di qualche brutto segreto: e finalmente parecchi di que' tali, che ora prestando un servizio, ora facendo i buffoni, e sempre accettando tutto, a tutto rassegnandosi, e adulando senza pietà né misura i signori, vengono a farsi l'equivalente d'un'entrata, e vivono vilmente ma grassi, lustri, allegri, e senza faticare. Fra questi, ci era quel tale con moglie e figliuoli, che accennai possedere una buona metà di un cuore del quale pare che toccasse a me il rimanente.
      Questa era la gustosa comitiva colla quale, lasciato il mio tetto solitario, saliva l'erta che conduce a Monte Cavi.
      La Principessa m'invitò a passare qualche giorno alla villa che aveva presa a pigione, ed io accettai. Le finanze di questa buona signora erano rovinate dalla scioperataggine sua, de' suoi e di parecchi altri. Come andasse avanti, lo sa Iddio. È vero però (e questo lo possiamo sapere anche noi) che avendo alle coste un nuvolo di creditori, ottenne dal Papa di non pagarli. Mi ricordo averle udito dire tornando dal Corso: - Sapete! fermo al caffè Ruspoli c'era A. (un povero diavolo che le avanzava, senza speranza, parecchie migliaia di scudi); figuratevi! m'ha guardato con un tono!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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