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      E se il rivale era, come s'usa, appoggiato al legno e co' piedi sulla linea delle ruote, peggio per lui!
      Un giorno essendo la principessa in un legno scoperto a due posti, corto, e quindi a portata dell'adorato oggetto; questi per gelosia, o per altro motivo rimasto ignoto, si voltò, e in mezzo alla fila delle carrozze e della gente le dette un gran scappellotto.
      A forza di depravarsi, certe nature non sentono piú i sapori se non v'è scandalo, vergogna e viltà per tornagusto.
      Questo genere se non comune, era però tutt'altro che raro nella Roma anteriore alla rivoluzione. Una signora che l'aveva allora lungamente abitata mi diceva: - Era ben rara la dama, che, oltre l'amante in titolo, uomo della società, non avesse un cocchiere, un soldato, un quidam qualunque, ecc. ecc....
      Tale era lo stato sociale che le teste guaste son venute a turbare.
      Questo cocchiere era il padre d'una delle principessine, svelta, allegra, carina come un amore. Si maritò, e siccome il sangue non è acqua, anche lei s'innamorò del suo cocchiere. Il marito sorprese la corrispondenza, che mostrò come curiosità e lasciò ad una sua bella, ch'io conoscevo. Cosí la potei leggere, e mi ricordo d'un biglietto che diceva: "Peppe mio, son disperata: T. (il marito) non ti ci vuol portare (a una gita in villa), e dice che attacchi Cencio coi cavalli della tenuta, ecc. ecc...." Questo era un biglietto a lapis scritto in fretta la mattina presto, mentre si stava in partenza per la scampagnata!...
      Questa mattarella, quando gli amori non camminavano a suo genio, si raccomandava niente meno che al principe delle tenebre per mezzo d'una maga che le prestava il suo terribile ministero. E siccome io me ne ridevo, mi diceva un giorno: - Tu ridi pure, ma io ti racconterò questa.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Roma Cencio