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      Questo bravo giovane che voleva sfogarsi e levarsi una pietra d'in sullo stomaco, e non farmi dispiacere, conobbe ch'io dicevo il vero. Egli non aveva mai letti romanzi; non mi stese dunque la mano, non mi disse quelle frasi che s'imparano nella Bibliothèque des chemins de fer. Mi guardò scrollando il capo ed alzando le spalle, e disse: - Eh! ti credo senza che ci giuri!... è quella linguaccia d'Erminia.... ecc. ecc.
      È inutile ch'io mandi alla posterità la coroncina che sfilò ad onore e gloria di quella signora. Il lettore per poca fantasia che abbia se la potrà immaginare.
      Si seguitò la nostra via passando da un discorso ad un altro, e mi parve che l'animo suo un momento alterato, non avesse però serbate profonde impressioni di quelle prime parole. Ci lasciammo alla fine in ottim'armonia, e con molte scambievoli proferte per l'avvenire. Io spronai verso Roma, e lui voltò la briglia verso la Rocca.
      Non ho mai potuto saper bene che cosa accadesse quella sera tra lui, Erminia, la Carolina e forse altri. Molto tempo dopo mi fu riferito questo solo: che a notte s'imbatté nell'Erminia, la quale, saputo ch'egli tornava dall'avermi accompagnato, diede in una gran risata, dicendogli con scherno: - Anche l'accompagno!... ah! ah! ah! Anche l'accompagno!...
      Cieco dalla rabbia, il povero Carluccio andò a casa. La mattina dopo fu trovato morto.
      Si giustiziano gli uomini per colpi di spada o di daga, ma i colpi di lingua il codice non li contempla.
      Varii supposti furono fatti, tutti piú o meno inverosimili: né giammai mi riuscí chiarire nulla su questo triste caso. Sempre m'è rimasta cara memoria di quell'oscuro, ma onesto ed onorato villano, che mi diede indubbie e costanti prove d'essermi amico.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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