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      Altrettanto m'è rimasto un vero rammarico - rimorso non posso dirlo - d'essere stato io causa indiretta della sua morte, e della sventura di tutta la sua famiglia.
      Ritornando a Roma dalla Rocca, io riportavo con me un discreto frutto delle mie fatiche dell'estate: tre o quattro studi grandi, finiti sul vero, una ventina di piccoli, e molti disegni. Mi sembrava giusto l'accordare a me stesso un mese di riposo e di divertimento, e me n'andai a passar l'ottobre in Albano.
      Ai giovani che studiano e faticano sul serio, credo poter dare un consiglio, ch'io ho trovato eccellente facendone la prova.
      Nelle facoltà operative, sí morali come fisiche, ognuno ha una misura. Esaurirla tutta, è bene, e conduce ai rapidi progressi. Volerla alterare è male, e invece di progresso porta spesso al regresso. Gli sforzi di fatica son cattivi negozi, e il buon senso gli deve far evitare, come un disordine. Un disordine può essere virtuoso, come può essere vizioso. Si può disordinare coll'intelligenza come col senso. Ma v'è un'altra regola piú importante pe' giovani operosi. A un disordine talvolta la natura resiste, a due nell'istesso tempo, no. Dunque, o giovani! Almeno un disordine per volta, se non avete fermezza per astenervene! Con queste regole, essendo io sano bensí, ma non di struttura robusta, ho potuto sostenere grandi fatiche.
      In Albano era riunita la società che frequentavo anche in Roma, e che apparteneva alla classe dell'alta borghesia, la quale colà si distingue per condizioni tutte proprie del mondo romano.
      Nell'agro, la terra è de' signori, delle chiese, de' luoghi pii; divisa in que' latifundia quae Italiam perdidere, ma che ormai perdono soltanto una piccola parte di essa. Alla borghesia rimangono per vivere, gl'impieghi - que' pochi che sono a portata de' laici - il commercio e le industrie, l'affitto delle grandi tenute (mercanti di campagna), ed infine, oltre le professioni liberali, molti mestieri anonimi e piú o meno anomali, come per dirne uno, sarebbe quello di sbrigatore d'affari arenati nelle congregazioni o nelle segreterie; pel quale bisogna conoscere tutto e tutti; tutti gl'intrighi, tutti i cunicoli, tutti i pasticci segreti, le influenze, gli amori, le ire, le gelosie del paese, e saperle far giuocare a tempo per l'interesse che si vuole condurre a buon porto.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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