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      Poi sfogliano questi fiori uno ad uno, ed ammucchiano le foglie dello stesso colore, onde compongono alla fine una specie di tavolozza piena di tinte diverse.
      Ogni casa che fronteggi la strada, s'incarica di coprire lo spazio che le sta dinnanzi, ed eseguisce un disegno diverso. Chi fa un ornato, chi un fregio, chi l'arme del duca Sforza, antico signore del paese, chi la propria, se l'ha, chi quella del vescovo o del Papa e via via. Con una lunga funicella logora e quindi flessibile, che si mette in terra a norma del disegno, si fissa prima il contorno che poi s'empie di foglie de' varii colori. L'insieme riesce vivacissimo; e visto dal piede della salita si mostra come un tappeto magnifico, che rincresce di veder poi guastato da' piedi della processione.
      Io arrivai a Genzano, ove non conoscevo se non un piccolo proprietario che avevo veduto una volta sola, e non so dove. Rimettere all'albergo il cavallo, colla confusione di quel giorno, era poco prudente. Andai dal mio conoscente che aveva nome Raffaele Attenni, e mi permise di chiudere in un suo tinello la mia cavalcatura, che vi lasciai felice in compagnia di due fasci di fieno.
      Vidi la festa, la gente, le bellezze veramente rare del paese, i Romani venuti in folla, i villeggianti de' vicini castelli; e poi volli girare ed esaminare i contorni, per farmi un'idea del profitto che ne potevo cavare.
      Il castello degli Sforza mi piacque assai. Egli sta sul dosso del monte, in cima ed un po' fuori dell'abitato. Gode d'una vista immensa verso il mare; e verso i colli, dell'austero aspetto di Monte Cavi, di Nemi, della selva della Fajola, e dello sprofondo, nel quale dormono le acque brune del lago. Qui, pensai, vorrei stare, se fosse possibile.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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