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      Trovai in paese il custode, mi feci aprire, e visitai l'interno del palazzo.
      Era disabitato, e si può dir devastato; non come la casa di Castel Sant'Elia, ma poco meno; ma anche qual era mi piacque.
      In queste perlustrazioni s'era fatto notte e bisognava cercarsi casa, a non voler dormire sotto il padiglione stellato. Nel tinello dove abitava il cavallo avevo osservato una botte vuota; paglia ce n'era, e quindi stavo meglio di Diogene.
      Mi ci ritirai a notte chiusa e, dato ordine al cavallo, mi rannicchiai nella mia botte e chiusi gli occhi. Ma il padrone di casa al quale giunse la notizia che il suo ospite s'era con tanta discrezione e modestia (me lo dico da me!) provveduto di letto, scese nel tinello col lume, e non ci fu rimedio, convenne alzarsi, e salire nelle stanze della famiglia, ove trovai le figlie ed un suo figliuolo, che mi sgridavano di non aver ricorso a loro per dormire fra le lenzuola, invece d'accucciarmi in un angolo come un cane.
      Dopo tanti anni, mi ricordo ancora con compiacenza delle amorevoli premure di quei cari miei nuovi amici, che neppur sapendo chi fossi, esercitavano meco la vera ospitalità de' patriarchi. Trentadue anni dopo tornai a Genzano, accolto dal mio ottimo amico don Lorenzo, duca attuale. Rividi la famiglia Attenni, che non si sapeva risolvere a riconoscere l'antico ospite della botte nel ministro, ora festeggiato ed ospitato in palazzo dal duca padrone.
      Non mi era stato difficile ottenere dal fratello don Salvatore, in allora duca, un ampio permesso d'abitare quel suo rovinato castello quanto mi fosse piaciuto. Per ciò non molti giorni dopo, mi presentavo una mattina alla porta del suo custode, che abitava giú in paese; e chiamatolo, gli consegnavo l'atto d'investitura temporaria che avevo ricevuto dal duca.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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